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Attenti a quei grafici, vol. I – Prezzi e Svalutazione

Attenti a quei grafici, vol. I – Prezzi e Svalutazione

Ieri Nonpercaso vi ha spiegato il trucchetto del cambiare base alle serie storiche per “ammaestrare i dati”. Oggi ci soffermiamo su un altro espediente utile a piegare l’evidenza empirica alla vostra teoria preferita.

Circola oggi su Twitter questo grafico che mostra la svalutazione dell’Euro nei confronti della valuta sudcoreana, lo Won. Perché questo tweet? Perché per i nostalgici della Lira è molto importante “dimostrare” che le svalutazioni non portano ad una riduzione del potere d’acquisto di chi svaluta (impresa difficile, visto che é contraria alla logica e, per scomodare l’economia, anche alla teoria economica).

La Samsung è sudcoreana, e il tweet vorrebbe ricordarci che mentre l’Euro si svalutava del 40% non abbiamo visto nei nostri negozi alcun aumento del prezzo di smartphone e TV che sarebbero, appunto, prodotti in Sud Corea. Convincente no? No.

Il prezzo di un bene importato può essere suddiviso in due componenti, la parte relativa al tasso di cambio e quella relativa al prezzo originario. Mettiamo che nel 2009 uno smartphone costava 525mila won, il che fa circa 300 euro. Dal 2009 ad oggi il cambio EUR/KRW è sceso: oggi servirebbero 430 euro per lo stesso smartphone! Funziona così? Ovviamente no.

I prezzi di smartphone, TV e altra elettronica di consumo in Corea del Sud sono scesi nel frattempo. Come potete vedere nella tabella sottostante, contenente dati dell’ufficio statistico sudcoreano, i prezzi al consumo di questi prodotti hanno visto cali significativi in Corea. Il potere dell’innovazione, come sempre un fattore dimenticato dalla retorica sovranista. Per concludere l’esempio precedente, lo smartphone sudcoreano ci costerebbe oggi 345 euro, non 430, perché i produttori hanno nel frattempo tagliato i costi del 20%.

È importante anche ricordare che, a seguito di movimenti del tasso di cambio, i prezzi per esportazione non sono fissati in modo così semplicistico e, ad esempio, le aziende possono preferire di ridurre i margini di profitto mantendo i prezzi fermi per non perdere quote nel mercato estero.

CPI by Expenditure Category (all cities) 2009. 01 2013. 01 2017. 01 Var. 2009-17 %
         Mobile phone 125.878 112.418 99.82 -20.70
         Television 204.312 122.978 82.54 -59.60
         Audio-visual Device 119.269 98.206 98.62 -17.31
         Camera 174.73 116.58 108.31 -38.01

A questo punto forse avrete già in mente un altro bene importato con il quale usare lo stesso trucco: il petrolio. Il petrolio è quotato in dollari e negli ultimi anni l’euro si è svalutato di più del 20 percento rispetto alla valuta americana. Abbiamo pagato la benzina il 20 percento in più? No, perché nel frattempo il prezzo del barile in dollari è crollato da 110 a 50 dollari (grafico sotto).

La prossima volta che qualcuno cercherà di negare l’effetto inflazionistico delle svalutazioni con esempi del genere, ricordatevi del trucchetto e non fatevi fregare. Nel frattempo, in Gran Bretagna le famiglie stanno perdendo potere d’acquisto dopo la rapida svalutazione della sterlina post-Brexit.

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Posted by Claudio in debunking

#PeskaraNomics à la crème fraîche

Ieri sera, 20 Marzo 2017, nel primo dibattito televisivo fra i maggiori candidati alla Presidenza della Repubblica Francese, Marine Le Pen ha mostrato un grafico che spopola fra i No-Euro italiani e transalpini. Il grafico è quello qui sotto riportato e mostrerebbe, senza ombra di dubbio secondo la vulgata No-Euro, che l’introduzione della moneta unica ha causato un collasso della produzione industriale nei paesi dell’Eurozona partner della Germania. Il messaggio è abbastanza chiaro: solo i teutonici si sono avvantaggiati della moneta unica, anzi nelle versioni più sofisticate la teoria provata sarebbe quella per cui l’introduzione sia in realtà stata un complotto disegnato e architettato da scaltri tecnici “crucchi” contro una massa di poveri in spirito (aka alcol) europei, di diverse nazionalità, usi e costumi.

 

Ebbene, l’esercizio di “cherry picking” monovariato, laddove con questo termine si intende una scelta più o meno intenzionale di indicatori e normalizzazioni ad hoc, senza controllare per alcun fattore correlato, è facilmente smontabile. Non si capisce, infatti, perché interessarsi all’indice di produzione industriale e perché normalizzarlo al 2001, quando la fase di introduzione della moneta unica è durata più a lungo, e non corrisponde alla mera introduzione formale della “valuta Euro”. Come i più attenti sanno, infatti, i cambi furono resi fissi ben prima. Perché il grafico è normalizzato a 100 in un anno a caso? Non si capisce. In più, come i più secchioni sanno, se si volesse mostrare l’effetto ritenuto causale della moneta unica sulla crescita, come prima cosa bisognerebbe focalizzarsi sulla crescita del reddito pro-capite reale. Paesi con alti scambi commerciali potrebbero infatti specializzarsi in settori diversi. La produzione industriale è un cattivo indicatore del valore aggiunto totale. In EU varia dal 30% al 10% del VA totale, a seconda dei paesi. Il grafico sotto riportato mostra proprio l’indicatore corretto, il reddito medio reale, normalizzato allo stesso punto temporale di quello mostrato ieri dalla Le Pen. Si può ben notare come dal 1995, Italia e Germania siano cresciuti allo stesso ritmo, leggermente inferiore a quello francese, tra l’altro. La Germania ha iniziato a crescere in modo più vigoroso solo dal 2006, ben 5 anni dopo l’introduzione formale della moneta unica.

Che dire dunque del grafico No-Euro? Può avere mille altre spiegazioni causali, impossibili da decifrare con linee descrittive “taroccate a arte”, con una scelta miope e furba di un periodo per confermare la propria tesi. Insomma, una forma di “confirmation bias“, piuttosto imbarazzante. Che di questo si tratti lo conferma il grafico seguente, che mostra lo stesso grafico 2 normalizzato all’inizio della crisi finanziaria globale. Se si seguisse lo stesso “percorso mentale”, uno potrebbe far ricadere “la colpa” non sull’Euro, ma sugli US, esportatori di disgrazie globali, e via discorrendo. La verità resta solo una: correlazione, cherry picking, casualità scambiata per causalità non hanno le gambe lunghe.

 

P.S. I dati usati per produrre i due grafici sulla crescita reale del PIL pro-capite sono scaricabili dal sito Ocse.

Thomas Manfredi

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Posted by Thomas Manfredi in debunking